Quando si parla di amore non si dovrebbe parlare di violenza. I due termini sono, infatti, da collocare agli antipodi: l’uno, l’amore, è un sentimento puro e costruttivo. L’ altro, la violenza, è un’azione che nasce dall’ odio, un sentimento contaminato e distruttivo. Non si spiegano quindi gli efferati delitti, le cui vittime sono fidanzate, mogli, amiche, mamme, figlie, professioniste, in una parola DONNE, le cui notizie turbano ormai la nostra quotidianità e ci lasciano sbalorditi e indignati come fosse, ogni volta, la prima volta. Oggi dunque parleremo di femminicidio, troppe volte associato all’amore.
Quando la donna incontra colui che sarà il suo carnefice crede di vivere un idillio amoroso fino a quando le passeggiate si fanno inquiete, le carezze sempre più pesanti, le parole diventano minacce e quando, poi, cerca di liberarsi da questo giogo spesso è troppo tardi e paga con la vita una relazione malata. Il femminicidio è infatti l’ultima tappa di una lunga agonia che, prima di giungere all’ esito finale, priva la donna della sua libertà. Ciascuna storia, benché abbia più o meno la stessa trama, è una storia a sé e non è un omicidio come tanti. Ciò di cui parliamo oggi è l’uccisione di una donna in quanto donna! Anche le pagine della letteratura, come le pagine di cronaca dei nostri quotidiani, offrono l’imbarazzo della scelta su questo argomento; infatti, questo reato è storia vecchia, vecchia quanto il pregiudizio di inferiorità della donna rispetto all’ uomo. Spaziando dalla mitologia classica alla filosofia le donne sono ritenute gravide di colpe: esseri fragili costituzionalmente, sentimentali e poco portate alla razionalità, simbolo della tentazione e perciò del maligno sono destinate a riversare sugli uomini mille sciagure ma così terribilmente seducenti da far scoppiare intere guerre. Certo, nella storia la donna ha fatto carriera: si è liberata dall’ angusto ambiente domestico cui era stata relegata e ha conquistato lo spazio pubblico, un tempo assoluta prerogativa dell’uomo. Tuttavia, questo non è bastato a fare di lei un essere libero. L’ uomo troppo spesso infatti si arroga ancora il diritto che gli era riconosciuto nella società patriarcale, cioè quello di disporre della vita della donna come fosse sua proprietà. La donna così, per effetto dell’infatuazione e dell’orgoglio maschile, spesso è trasformata in mero oggetto di desiderio, come è sempre stato. Un oggetto comodo, scomodo, da legare a sé a tutti costi o da far sparire a seconda delle circostanze, dei desideri, delle perversioni del momento.
A tal proposito, tra le pagine della letteratura c’è una donna più volte citata quando si parla di femminicidio e che a Dante si presenta così:
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo/ e riposato de la lunga via […]/ ricorditi di me, che son la Pia;/ Siena mi fé, disfecemi Maremma:/ salsi colui che ‘nnanellata pria/ disposando m’avea con la sua gemma»
Quando tu sarai tornato sulla terra e ti sarai riposato dal lungo viaggio/ ricordati di pregare per me, che sono la Pia;/ nacqui a Siena e morì in Maremma:/ come sa colui che prima mi aveva sposato donandomi il suo anello.
Parliamo di Pia dei Tolomei, nobildonna senese del XIII secolo, ricordata da Dante, attraverso questi versi, nel V Canto del Purgatorio. La persona di Pia dei Tolomei è collocata a metà tra storia e leggenda. Sono poche le notizie certe sul suo conto ma i versi danteschi cantano la sua triste vicenda: prima moglie di Nello d’Inghiramo dei Pannocchieschi, appartenente ad un’importante famiglia della Maremma e podestà di Volterra e di Lucca, venne segregata nel Castello della Pietra in Maremma e fatta precipitare giù dalla finestra della camera nuziale dello stesso castello, nel famoso precipizio noto come “il salto della contessa”, per mano dello stesso uomo che l’aveva sposata. Il femminicidio venne commesso affinché Nello potesse sposare la sua amante Margherita Aldobrandeschi. Un’altra versione dei fatti vuole che la donna sia stata uccisa perché accusata di aver tradito il marito e un’altra ancora racconta che, per sua volontà, si sia lanciata nel vuoto. Tra i tanti casi di cronaca recente che avrei potuto citare ho voluto riportato alla memoria una donna del XIII secolo perché da allora molto è cambiato, ma le donne continuano a morire ammazzate come e peggio di Pia dei Tolomei e per gli stessi motivi. Pia dei Tolomei rappresenta, così, al meglio tutte le donne morte violentemente; le tante donne scomparse nel nulla e quelle per la cui morte il colpevole è rimasto impunito; tutte le donne che spesso si sentono dire: “se l’è cercata”; perché in una società velatamente ma ancora fortemente maschilista, c’è ancora chi crede che un tradimento o una gonna troppo corta possano giustificare un femminicidio; tutte le donne sulla cui morte ancora non si è fatta chiarezza e le troppe donne che chiedono di essere ricordate perché altro per loro non si può fare, ma forse si sarebbe potuto fare. Spesso infatti il femminicidio è una “morte annunciata”. Sono ancora troppo poche le donne che, vincono la paura, e denunciano il loro persecutore prima che sia troppo tardi e alcune non ricevono protezione in tempo, ma importanti progressi sono stati raggiunti in termini legislativi e a dar manforte alle donne in questa situazione ci sono anche i centri antiviolenza a cui le vittime si rivolgono. In questi casi infatti è importante il fattore tempo: quanto prima la donna comprende che il rapporto che sussiste tra lei e quell’uomo troppo violento, troppo geloso, troppo ossessivo non è un rapporto d’ amore ma un legame che unisce la vittima al suo carnefice; tanto prima avrà la possibilità di aver salva la vita; la sua vita e spesso anche quella dei suoi figli. La follia omicida di questi uomini infatti non si ferma alla donna stessa; non guarda in faccia a nessuno. Questa è storia recente. Mentre scrivo, i corpi delle due bambine, di 7 e 13 anni, ammazzate nel sonno dal loro padre a Cisterna di Latina, hanno da poco ricevuta sepoltura e la loro madre, colpita per prima dai proiettili di suo marito mentre si trovava in garage, lotta tra la vita e la morte e lui, un carabiniere, è morto suicida. I giornali dicono che non abbia retto la separazione. Spesso infatti tra i moventi di un femminicidio c’ è la fine della relazione tra i due, quasi che reati di questo tipo siano delitti commessi per un eccesso d’ amore. È il contrario invece! L’ amore qui non c’ entra, l’ amore in questi casi non c’è! D’ amore non è mai morto nessuno!! In realtà parliamo di uomini deboli, spesso bisognosi di cure specialistiche, dannatamente orgogliosi e prepotentemente maschilisti, incapaci dunque di razionalizzare l’ accaduto e più pronti ad impugnare un’ arma e dar sfogo alla loro follia. Il femminicidio facilmente diventa dunque uno sterminio. Le statistiche dicono che ogni due giorni una donna viene uccisa dal compagno.
Ora, però, da donna, non mi importa sapere il numero delle vittime, fosse pure una, la mia indignazione sarebbe uguale; non mi importa conoscere il movente, perché non c’è movente che possa giustificare un delitto; non mi importa sapere il nome e l’ età della vittima, mi importa sapere cosa è stato fatto per proteggerla; non mi importa sapere il profilo psicologico dell’assassino, mi importa che paghi per il crimine commesso, senza attenuati; da donna mi importa che venga garantita a ciascuna di noi la libertà di essere fidanzata, moglie, amica, mamma, figlia, professionista, in una parola donna libera di amare ed essere amata.
È importante dunque che alla donna venga riconosciuta quella che la filosofa belga Luce Irigaray, chiama identità naturale. Il gentil sesso infatti tutt’ oggi non dispone di una propria identità, si configura ancora come il ʺnon uomo”. L ‘ identità femminile nasce cioè dal confronto con quella maschile. Irigaray a ragione sosteneva che la psicologia e la stessa filosofia hanno rappresentato l’uomo come pienezza e la donna come mancanza. È tempo che la donna mostri che le mancanze che le sono state attribuite sono in realtà i suoi punti di forza, gli aspetti connaturali al suo essere donna e, pertanto, le caratteristiche naturali della sua identità. Una identità diversa da quella maschile ma non per questo inferiore. La differenza tra il maschile e femminile non va cancellata. I due sessi sono uguali sul piano dei diritti e doveri ma permane tra i due una naturale differenza che ne permette la compensazione e non la sopraffazione dell’uno a scapito dell’ altro, come purtroppo è sempre stato. La lotta al femminicidio, in virtù delle matrici ideologiche, si intreccia dunque al discorso sulla parità tra i sessi ma non è un discorso sessista o una battaglia femminista, è la lotta ad un crimine che si sta diffondendo sempre più; è la corsa alla costruzione di un’ identità, quella femminile, che dia alle donne il coraggio di chiedere aiuto in tempo ed aver cosìsalva la vita!