Frammenti di poesia, graffiti di parole, una cadenza che ricorda lo Haiku (anche se il breve componimento giapponese è di 5-7-5 sillabe) per l’emozione che i versi lasciano in chi li legge: “Non un’anima in strada/il cinguettio delle voci/canta il silenzio della neve”. Un libro di poesie, quello di Giuseppe Di Matteo, che si può aprire a caso e, improvvisamente, trovare quello che si andava cercando. I Frammenti svelano un’immagine, perché alle parole si lega subito una visione, un’apparizione improvvisa, creata con pochi tratti di pennello, a volte dalla punta sottile come per i disegni a china, a volte dalla punta tonda o piatta. Sono, in certi casi, gouache che parlano del Sud che il Poeta si porta dentro: “Era il Sud dei miei nonni/ quel tramonto di sedie incastrate/ nelle chiacchere di strada”; “Una piana di ulivi / si lascia lambire da un cielo/ venturo di cobalto. Dalla mia finestra provo a seguirlo/ finché l’occhio si spoglia / e sembra tutto un mare.
Si va via da quel Sud, dal “tempo che divora”, ma c’è un ritorno, sempre, perché le radici affondano in una terra scura e generosa, si fanno strada “…nelle case di calce che sopravvivono/ agli alveari di sale e alla cattiveria del pane”, perché resta “un gomitolo di voci/ nel filo di un dio/ o di quand’ero bambino. E se nell’epilogo, il Poeta afferma: “è con me/ che non riesco/ a parlare” la sua voce, invece, parla al lettore come quella imprigionata nella conchiglia, in cui sentiamo il rumore del mare, con una suggestione insondabile e profonda.
Recensione di Daniela Patriarca