Non ricordo più il mio nome di battesimo, ormai sono per tutti la maestra Bacchetta. Vivo sola in collina, tra centinaia di libri e chili di polvere, con l’ossessione della grammatica. Qualche anno fa messer Dante è venuto a trovarmi in sogno chiedendomi, quasi con le lacrime agli occhi, di operare per la salvezza della lingua italiana. Da allora non mi separo mai da una bacchetta in legno d’acero, con la quale colpisco in testa l’asino di turno. Per questo non ho più parenti né amici: li ho picchiati tutti.
Qualche giorno fa ho avuto una crisi d’identità; per un attimo ho creduto di vivere nel mondo dei puffi e di subire le molestie di Gargamella. Passeggiavo tranquillamente per le strade del mio paese quando ho sentito un giovanotto dire alla sua fidanzata: “Amore, perché non mi dai mai un bacetto?”. E lei risponde: “E tu che regalino mi dai in cambio?”. È terribile, per le nuove generazioni tutto è mini. Oggi i giovani si amano dal più profondo dei loro cuoricini, si donano cioccolatini, si chiamano reciprocamente “tesorino”. Questa esagerata sovrabbondanza di diminutivi è fastidiosa oltre che pericolosa. Il rischio è di inventare di sana pianta forme prive di significato come “secondino” e “attimino”. Ci può essere qualcosa che duri meno di un secondo d’orologio? E l’attimo, non è già fuggente di per sé? Non siamo mica i nani di Biancaneve, per i quali tutto deve essere piccolo. Utilizziamo i diminutivi con parsimonia.