Musica e poesia

C’è un filo sottile che unisce musica e poesia per cui è impossibile tracciare la linea di confine che le separa. Del resto hanno obiettivi simili, scandagliare nel profondo e dare voce a gioie e dolori dell’umana esistenza.

Abbiamo intervistato il salernitano Guido Maria Grillo, artista eclettico, musicista e poeta, capace con le sue parole, e le sue note, di toccare le corde dell’anima. Suoni e versi per un connubio perfetto, che hanno trovato espressione nella raccolta Questa nostra guerra. Poesie e bozzetti per canzoni pubblicata a dicembre da Les Flâneurs Edizioni.

Guido, come è nato il tuo rapporto con la musica?

Ho sempre ascoltato musica, l’ho sempre cantata, ma solo da adolescente ho iniziato a suonarla. Ricordo lunghi viaggi in auto, da bambino, in cui si cantavano a squarciagola Mina, Battisti, Tenco, Paoli, Aznavour. Poi, tra i banchi del liceo, la prima chitarra, le prime esibizioni, il rock, Fabrizio De Andrè. Non ho più smesso e non ho alcuna intenzione di farlo.

Quali sono i temi principali delle tue canzoni?

Non sono un cantastorie, non sono capace di narrare, preferisco sondare gli abissi emotivi, dare voce alla malinconia, suono alla nostalgia. Ho sempre percepito la musica su un piano, innanzitutto, emotivo, su una tavola caleidoscopica di turbolenze interiori, alienanti e, anche in veste d’autore, è la pelle d’oca la vera unità di misura, l’esplosione dei sensi, la commozione, la rotta che conduce all’essenza della Bellezza.

Hai all’attivo importanti collaborazioni. Quali sono quelle per te più significative?

Ho cercato di imparare da tutti, sia ciò che è meglio fare, sia ciò che è meglio non fare. Chiunque insegna qualcosa, anche quando non ne ha alcuna intenzione. È necessario essere aperti alla comprensione e all’apprendimento critico, s’impara più dalla semplice osservazione e dalla diretta esperienza, che da qualsiasi lezione impartita. Essere sempre umili è la condizione necessaria. Non è retorica ma chiara strategia di contrasto alla diffusa, e immotivata, presunzione.

Cosa ne pensi del cantautorato italiano e del fenomeno indie?

Del cantautorato di questi anni? In generale, ne sono deluso. È un discorso lungo ma posso provare a sintetizzarlo. Io attribuisco all’arte, e quindi anche alla musica, grande serietà e profondo valore socio-culturale. Credo davvero che solo la cultura e l’arte possano salvarci in questa “notte dalle vacche nere”, dall’imbarbarimento, dalla pochezza, dal disimpegno e dalla moda dell’effimero che conducono all’ignoranza in cui stiamo annegando. Ogni ambito della società ne è investito, spietatamente. Se anche la musica, per la quale rigetto il declassamento a mero intrattenimento (perchè chiunque lancia sempre dei messaggi, anche quando apparentemente non dice nulla, o pensa di non dire nulla) sceglie di andare in quella direzione, ovviamente non può incontrare il mio gusto, così come non lo incontrano certa tv, certo cinema, certa letteratura. Alimenta, anzi, la mia aspra critica nei confronti di qualsiasi forma di istigazione al disimpegno o di innalzamento a valore della vacuità. Il disimpegno assoluto, presto o tardi, conduce all’ignoranza ed è esattamente ciò che sta accadendo.

Oggi, più che mai, occorre andare “in direzione ostinata e contraria”. Ciò nonostante, ci sono cantautori e band, spesso non di “primo pelo”, che hanno tracciato percorsi ammirevoli, in questi anni, come Iosonouncane, Verdena, Edda, Il teatro degli orrori, Umberto Maria Giardini (ex Moltheni), Cesare Basile e pochi altri.

“Indie”, in Italia, non vuol dire più nulla, è un concetto completamente svuotato del suo significato. Tutto è cambiato negli ultimi anni, la maggior parte di coloro che si proclamavano o venivano etichettati come”indipendenti”, in realtà, lo erano solo per condizione e limiti, non per scelta ideologica, nulla avevano ed hanno della “cultura alternativa”, dell’anti-sistema, del rigetto del mainstream e delle sue logiche. Appena hanno avuto possibilità di saltare dall’altro lato, infatti, nella grande distribuzione, nel largo consumo, nella tv commerciale, nello spot della multinazionale, nel premio della compagnia telefonica, hanno compiuto l’acrobazia, facilitati da una distanza molto breve, a tratti, oserei dire, inesistente. Preciso, però, che non si tratta di una critica rivolta agli acrobati, sarebbe troppo semplicistico, quanto, piuttosto, a chi ha creato o ha permesso che si creassero le condizioni per cui non esistesse una significativa alternativa. A chi ha quasi costretto certi cantautori o band a tentare strade paradossali, inadeguate, in assenza di altre chances, strade come il talent show televisivo, niente di più di un programma di intrattenimento serale con le sue comprensibili logiche da piccolo schermo, contribuendo a demolire dalle fondamenta qualsiasi struttura, sovrastruttura, slancio, intenzione ideologicamente indipendenti. Superfluo sottolineare che tutto ciò ha condizionato e formato anche la maggioranza del pubblico.

Il discorso è molto complesso e passa, ovviamente, in maniera imprescindibile, attraverso l’avvento di internet e la sua capillarità, la scomparsa dei supporti fisici, la tecnologia smart ed infinite altre rivoluzioni che hanno letteralmente stravolto il mondo in pochissimi anni.

Musica e poesia hanno punti in comune?

In una famosa intervista, Fabrizio De Andrè, a cui era stato chiesto se si definisse poeta o cantautore, rispose con una citazione. “Benedetto Croce diceva che fino all’età dei diciotto anni tutti scrivono poesie, dai diciotto anni in poi continuano a scriverle solo due categorie di persone: i poeti e i cretini. Quindi io, precauzionalmente, preferirei definirmi un cantautore”.

La poesia è ovunque ci sia Poesia. Vera Poesia.

A dicembre 2017 è uscita Questa nostra guerra, la tua prima raccolta di poesie e bozzetti per canzoni. Da cosa sei stato ispirato?

Non ho mai scritto poesie, in realtà, se non da ragazzino, più o meno come tutti. Ho sempre considerato sufficiente, poi, dedicarmi alle canzoni, ai cui testi, in qualche modo, attribuivo un timido valore poetico. È accaduto quasi per caso, un’imbeccata, un pungolo di Carlo, che conosceva le mie canzoni e che ha scritto la prefazione del libro. Devo ringraziarlo perchè ha spalancato una finestra su un paesaggio, al lato della mia casa, su cui non avevo ancora posato lo sguardo. Ho iniziato a scrivere poesie e sono entrato in una nuova dimensione emotiva ed intellettuale. Poi ho scelto di inserire nella raccolta anche i bozzetti, cioè le canzoni allo stato embrionale, conservati in un vecchio diario.

È stato molto gratificante scoprire che tutte queste parole destassero l’interesse di qualcuno e, in qualche caso, anche piacere.

Quali sono i tuoi poeti preferiti? Cosa pensi del Nobel per la letteratura assegnato a Bob Dylan?

Discutibile, Alfred Nobel, per usare un eufemismo, inventore della dinamite, fondatore della prima fabbrica di esplosivi alla nitroglicerina e non solo, uomo che ha reso business le guerre ottocentesche, che è divenuto incredibilmente ricco vendendo “bombe” ai governi e che poi, solo ed afflitto dai rimorsi, ha cercato la via della redenzione, forse trovandola. Pensavo che l’iniziale reticenza di Dylan in merito al premio avesse a che fare con questa storia. Detto ciò, perchè ricordare fa sempre bene, ricevere il Premio deve essere una discreta soddisfazione. Le canzoni di Dylan hanno indiscutibilmente segnato la storia della musica, dunque, della cultura di diverse generazioni; non so se basti a vincere il Nobel per la letteratura ma, d’altra parte, mi sembra che i grandi premi per la musica internazionale siano dominati da lustrini, paillette e messaggi promozionali, che premio si può dare ai grandi cantautori viventi? Magari, un giorno, daranno il Nobel anche a Tom Waits!

In adolescenza ho letto e amato i poeti francesi, Rimbaud in particolare. Ho amato lo “spleen”, quelle vite turbolente e intense, stracciate, piene di graffi, insulti, passioni. Poi ho scoperto altri orizzonti, Rilke, durante uno splendido corso di Filosofia Estetica all’Università, fino alla lucente follia di Alda Merini.

Quali sono i tuoi prossimi progetti discografici?

Un disco nuovo entro la fine del 2018, un lavoro fuori dal tempo perchè questo tempo, qui ed ora, non è esattamente il mio.

 

Foto di Sergio Santinelli

www.guidomariagrillo.com

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