Omar Di Monopoli è un altro degli intervenuti nel ciclo di seminari “Raccontare la Puglia. Parola di scrittore”, organizzato dall’Università degli Studi di Bari – Dipartimento di Lettere Lingue e Arti, a cura della professoressa Maria Rosaria Carosella.
“Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud” è un verso di Bodini ma potrebbe essere l’incipit di una tua storia. Malinconia, denuncia… cos’è la Puglia nelle tue storie?
È un sacco di cose, perché c’è la terra delle mie origini e la regione dei disastri ambientali, c’è la sconfinata magia arcaica di un luogo senza tempo e c’è il malessere cronico di un Mezzogiorno mai domo e mai risolto. Ma soprattutto c’è la volontà di farla diventare la rappresentazione di una idea universale di posto ai margini, un Sud dei Sud in cui far accadere storie che attraverso la propria trama provino a decodificare la complessità del reale.
Nelle scorse settimane si è discusso su come la Puglia sia mostrata dagli autori pugliesi. Si mostra quel che si vuol vendere e si critica quel che si vuole cambiare. Le due cose sono opposte e inconciliabili?
Non saprei teorizzarlo, non in maniera chiara e armonica, almeno. Io coltivo una idea di letteratura per la quale semplicemente racconto, e lo faccio attraverso strumenti acquisiti in anni di esercizi e di letture. Quando parlo della mia terra cerco di essere appassionato e franco, ma qualche volta la tradisco per il piacere di ricambiare il dolore che essa mi provoca continuamente imprigionandomi con la sua estenuante bellezza. Il genere mi permette di muovermi attraverso una griglia stilistica rodata, che concede poche sbavature, però la complessità delle cose vien fuori comunque, e questo è il grande potere della letteratura.
Hai scritto: “No jè aria, stamattina, sbirro… vabbanni a casa! gracchiò il vecchio eremita, affacciandosi a guardarlo con l’espressione di un’unghia incarnita.” Un mix di lingue e di linguaggi. Cosa vuoi comunicare? il silenzio gioca un ruolo nella tua ricerca stilistica?
È ovviamente un mix di suggestioni e influenze che deriva dalla mia formazione, dal mio background (sono un ex aspirante fumettista che ha collaborato e collabora col cinema) ma è anche il tentativo di mettere a fuoco una mia personalissima lingua, un registro vocale che contempla sia il dialetto che l’italiano arcaico. Una sorta di mistura lirica, musicale quasi. In tutto ciò, ovviamente, il silenzio ha una sua precipua connotazione narrativa e, se ben piazzato, genera nel lettore sensazioni profonde, anche intime.
Sei uno scrittore di genere e porti storie di vario genere sul nostro suolo patrio… la Puglia non ispira storie di un suo proprio genere?
Ma sai, l’etichetta letteraria ha più valore per i critici e i giornalisti che per un autore e penso interessi solo fino a un certo punto al lettore, che è poi il vero unico fruitore di una storia, quindi essenzialmente la trovo una questione molto tecnica, pura speculazione. Alla fine conta ciò che stai narrando, il gradi di sincerità con cui tocchi l’anima di chi apre i tuoi libri per scoprire un universo. E in questo non ci sono santi: un libro o è letteratura o non lo é…
Il tuo prossimo lavoro uscirà verso la fine dell’estate. Chi sono i “Figli della cenere”? A quei figli parlerai, nel seminario organizzato dall’Università di Bari, della Puglia fra le tue righe?
Tengo ancora per un po’ il riserbo circa il nuovo romanzo ma posso dire che è un romanzo ponte tra alcune mie storie precedenti. Torneranno vecchi personaggi e ne incontreremo di nuovi, ma sarà sempre all’insegna di una visione fortemente connotata: le mie sono storie intrise di sangue e di violenza ma anche di passione per la terra, di sentimenti traditi e di speranze che covano indomite sotto la cenere, per l’appunto. Di questo parlerò a quei figli, sperando di convincerli a non mollare…