Ogni tanto la mia libreria va alleggerita, riordinata. E riordinare è quasi come rileggere, ricordare impolverandosi. Prendere ogni libro, sfogliarlo, riporlo. Un’operazione delicata, necessaria, qualche volta dolorosa. Nessuna novità da recensire per questo numero. Affrancato quindi da smanie di critica letteraria, procedo a colpo sicuro sbarazzandomi dei tanti titoli che ritengo inutili. La sacca telata in dieci minuti è già colma di libri destinati a qualche parrocchia. Penso per un attimo a quel best seller di Marie Kondo “Il magico potere del riordino”, un decalogo tutto giapponese sul come riordinare le cose. Un controllo più attento è necessario prima di (s)formare l’essere di qualche giovane lettore. Riprendo quindi uno ad uno i libri di cui disfarmi. Ne trovo alcuni ingiustamente condannati, finiti per errore nel sacco.
Un ponderoso almanacco di MicroMega del 1999, rivista diretta allora da Paolo Flores d’Arcais con articoli a firma di Cacciari, Bataille, Bolaffi, Hannah Arendt, attualissimi. (Il classico è sempre attuale, pur fottendosi dell’attualità del suo tempo). Il primo numero dell’Espresso del 1955 (regalo di qualche amico). Lo sfoglio godendo delle preziose firme dell’epoca: Sandro De Feo, Corrado Alvaro, Ennio Flaiano, Alberto Moravia. Prendo poi in mano “Il capostazione Fallmerayer“ di Joseph Roth (da non confondere con Phillip Roth) in un’edizione economica allegata al Sole24ore di alcuni anni fa. Pensare che Alessandro Baricco, nella “sua” scuola Holden, tenne un’intera lezione su questo racconto esemplare, perfetto nella struttura e nello stile, raccomandandone a tutti la lettura. Eccone un altro. I Buddenbrook di Thomas Mann, in un’edizione Garzanti e una Oscar Mondadori. Capita di avere due libri acquistati due volte chissà come. Poi, “L’utilità dell’inutile” di Nuccio Ordine (Bompiani). Un bellissimo saggio sui saperi ritenuti “inutili”, che invece e soprattutto di questi tempi, rivelano una straordinaria utilità. Un ossimoro nel titolo, arricchito dalle riflessioni dei grandi filosofi della Storia. Ancora, una pagina stralciata chissà dove, attira la mia attenzione, tanto da riportarla qui integralmente: “Siamo pervasi di parole inutili, di una quantità folle di parole e di immagini. La stupidità non è mai muta, né cieca. Il problema non è più quello di fare in modo che la gente si esprima, ma di procurare loro degli interstizi di solitudine e di silenzio a partire dai quali avranno finalmente qualcosa da dire. Le forze della repressione non impediscono alla gente di esprimersi, al contrario la costringono ad esprimersi. Dolcezza di non aver nulla da dire, diritto di non aver nulla da dire: è questa la condizione perché si formi qualcosa di raro o di rarefatto che meriti, per poco che sia, d’esser detto”. Gilles Deleuze, Pourparler. Salvati questi preziosissimi scritti dagli altri romanzi davvero inutili e destinati al macero, ripenso non tanto alla selezione personale dovuta forse all’età o forse a un setaccio di sano anti-umanista, ma a una personale “nostalgia delle cose che non furono mai”.