Riaperte le indagini su Georges Simenon

Geloso, scontroso, sessualmente insaziabile, quasi anaffettivo. Ecco chi era veramente Georges Simenon: un autore che nell’arco della sua esistenza è stato in grado di scrivere – pensate un po’ – più di 450 romanzi, ma che nella vita privata pare avesse poche luci e tante ombre. E difatti di noirceur, il lato oscuro dell’animo umano, parla suo figlio John a proposito del padre.

Tutti conosciamo Georges Simenon come l’autore del commissario Maigret: il bonhomme – bevitore, fumatore e bongustaio – che nella Parigi del ‘900 conduce le sue inchieste con un metodo investigativo nuovo. Un successo travolgente, tradotto all’estero almeno in cinquanta lingue e trasportato sul grande schermo con attori come Pierre Renoir, Jean Gabin e nella serie italiana Gino Cervi.

Dello scrittore belga (già, perché Simenon non è d’origine francese come in molti credono, ma è nato e cresciuto a Liegi) conosciamo anche la sua precocità e la strabiliante facilità di scrittura, che è diventata quasi leggendaria. Simenon viene definito uno “sfornacopie”, uno dei pochissimi autori che è riuscito a fare dell’attività letteraria la sua unica fonte di guadagno e, infatti, guadagnava tantissimo. A 16 anni era già collaboratore fisso della Gazzetta di Liegi, per la quale scriveva una curiosa rubrica su storie di cani infelici e diseredati. A 18 anni ha pubblicato con uno pseudonimo il primo romanzo, dal titolo “Al ponte degli archi”. Giovanissimo, ha scritto 700 racconti in tre anni, per poi passare al romanzo con un ritmo – dicono alcune testimonianze – di 80 cartelle al giorno.

Praticamente, viveva per scrivere e scriveva per vivere.

Cosa si nascondeva, però, dietro questa nevrotica efficienza, che faceva di lui – come afferma Andrea Camilleri in un’intervista – una macchina da guerra della scrittura?

Bene, per scandagliare l’animo di Simenon dobbiamo posare per un attimo i suoi romanzi polizieschi e tirare fuori dagli scaffali le altre opere, quelle che egli stesso definisce “romanzi romanzi”, pubblicati per un pubblico più elitario con l’editore Gallimard o con Presses de la Cité.

In particolar modo, prendiamo in considerazione “Tre camere a Manhattan”, pubblicato a puntate nel 1946. È considerata la sua opera più personale, seconda solo a “Memorie intime”, l’autobiografia che scrisse in risposta a una lettera della figlia Marie-Jo, morta suicida poco prima (poi Simenon non scriverà più fino alla morte).

“Tre camere a Manhattan” è un romanzo intrigante, intimista e a dir la verità parecchio disturbante. Quanti a una prima lettura vi hanno visto narrata una storia romantica, forse dovrebbero rileggerlo con più attenzione.

Ecco in breve la storia. Due personaggi si incontrano nella notte newyorkese. Sono due relitti: François, un attore francese lasciato dalla moglie e in profonda crisi professionale; Kay, una donna non più giovane, sola, con un passato costellato di abbandoni. I due si vedono, si annusano, si riconoscono. Cominciano a passeggiare sottobraccio nel cuore della notte e si trascinano da un bar all’altro fino a quando, non sapendo cosa fare e dove andare, si rifugiano nel primo albergo che trovano. Comincia così, per caso, tra due persone che si sono appena conosciute, una storia d’amore fatta di tenere confidenze, ma soprattutto di sospetti, gelosie, di violenze anche fisiche. “Era sicuro che lei mentisse… Forse non s’inventava tutto di sana pianta, cosa di cui peraltro la riteneva capace, ma quanto meno, deformava, esagerava, ometteva”.

Il romanzo è fortemente ispirato ai primi incontri clandestini tra Georges Simenon e la segretaria Denyse Ouimet a New York, dove l’autore si era rifugiato dopo la guerra per il timore di essere accusato di collaborazionismo. I due sono prima amanti, poi la passione si trasforma in un amore travolgente e Simenon divorzia dalla prima moglie Régine per sposare Denyse in seconde nozze. La loro storia d’amore, però, diventa presto una bomba ad orologeria: pare che Denyse fosse molto possessiva e soffrisse di complessi di inferiorità rispetto al marito, ma Simenon non aveva per niente una personalità facile da gestire. Come vivere accanto a uomo che ha dichiarato di aver avuto circa 10.000 donne e che andava a puttane nei bordelli portandosi dietro la moglie, che lo aspettava al piano terra?  Leggende metropolitane? Chissà!

Sta di fatto che alla fine Denyse impazzì e venne internata in un manicomio, sua figlia Marie-Jo si suicidò, il figlio John ha sempre parlato di suo padre come un uomo duro, collerico, verbalmente violento. Con tanti lati oscuri, per l’appunto.

Ciononostante – mettendo da parte la noiceur della vita privata, che a noi lettori interessa soltanto per gossip – Georges Simenon resta un prodigio della scrittura. Un autore che è sempre piacevole scoprire o rileggere, la cui grandezza sta in trame sempre dirompenti e – come sostiene lo scrittore Camilleri – “in uno stile semplice, lineare, diretto, che arriva immediatamente al lettore”.

 

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