C’è qualcuno che come il sottoscritto ama di più il Lucio Battisti della seconda fase creativa, quella dei cosiddetti “dischi bianchi”? Non che il resto della produzione non lo apprezzi, ci mancherebbe, però la sfornata dei lavori che va da “DON GIOVANNI” a “HEGEL” rappresenta una prova di coraggio, oltre che di sperimentazione allo stato puro. Pensate se una cosa del genere l’avesse fatta De Gregori: assolutamente impossibile. La vena cantautorale del “principe” si è sempre imburrata di una sorta di conservatorismo dylaniano, abilmente alternata a riprese della migliore tradizione…
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