Salvatore è un giornalista freelance che vive da solo, in compagnia di un passato vigliaccamente relegato per trent’anni. Tante cose lo allontanano dal mondo reale: emozioni e ricordi di una spensieratezza troncata repentinamente; troppe verità nascoste da sensi di colpa che non vedono l’ora di riaffiorare, anche se potrebbero rivelare cose e segreti “indicibili”; tanti tasselli di un puzzle incompleto dell’immagine finale e che, improvvisamente, ne reclamano a gran voce la risoluzione.
Saranno la morte di sua madre, dalla quale si era da tempo allontanato, e il conseguente ritorno al paese natio, a costringerlo alla resa dei conti e a riaprire a fatica i cassetti della memoria, nonostante ne avesse “buttato via” le chiavi.
Strani orrori allora riaffiorano, in un crescendo di avvenimenti che lasceranno il posto alla consapevolezza che il suo mondo è cavo, fatto di grotte e pertugi che nascondono le loro verità sul fondo di un terreno fragile; che oltre la superficie ci sono crepe e fenditure che scavano ancora più a fondo nelle pieghe di un passato che riecheggia tra quegli anfratti; che il passato non muore mai veramente del tutto ma, come un burattinaio, muove le sue marionette all’interno di un teatrino, ne alimenta la rabbia e le nutre di un dolore che non cesserà mai ma che sarà più sopportabile se condiviso.
Basterà la sofferenza di altre persone ad alienare un dolore inenarrabile solo sopito, impossibile da cancellare?
Una ferita aperta di Salvo Fuggiano è un libro nel libro. Due piani temporali, due punti di vista, due protagonisti principali contrapposti, molto ben caratterizzati, davvero. Chapeau all’autore, che ha saputo narrare davvero – davvero – egregiamente un quadro psicotico complesso, laddove il bene e il male, o viceversa, si sono studiati reciprocamente e sfidati, provando a riportare alla ragione ciò che ragionevole non è.