La stagione invernale, così come quella estiva del resto, o si ama o si odia. In ogni caso, tutti si rallegrano al pensiero delle feste, dei pranzi e delle cene infinite. O quasi tutti. Comunque sia, è pressoché impossibile non far parte di tutta quell’euforia, seppure da osservatore. E quindi, così come tantissime persone hanno aspettato impazientemente il Natale, poi il Capodanno e l’Epifania, ormai alle spalle, adesso stiamo entrando nel periodo del Carnevale e di quella festa, diventata ormai sinonimo del mese di febbraio: San Valentino. È superfluo discutere sull’(in)utilità e sulla commercializzazione delle festività, soprattutto dell’ultima menzionata (ma anche della prima) perché non è quello lo scopo di questo articolo. Quello su cui vorrei soffermarmi è il protagonista di questa festa. L’innamorato o l’innamorata (o almeno colui o colei che si dichiara come tale). Il romantico o la romantica. Spesso proclamati come romanticoni. Il protagonista o la protagonista che cerca su Google il regalo perfetto per la sua dolce metà. Quello/a che la porta a cena per consumare una pizza insieme ad altre trenta coppie. O magari quello/a che le offre un fine settimana in un posto meraviglioso. Oppure quello/a che sorprende con una poesia, tutta sua? Chi, secondo voi, fa il colpo? Pensate anche voi che l’amore vada dimostrato ogni giorno e che tutte queste circostanze siano del tutto inadeguate? Che cosa significa essere romantici oggi ed esistono ancora quelle persone romantiche per davvero? E poi, che cosa sarebbe “per davvero”? Il romanticone del ventunesimo secolo ha mantenuto almeno una caratteristica del famoso eroe romantico, iniziatore lontano dell’ondata di cuoricini cioccolatini orsacchiotti, senza nemmeno immaginarselo? E chi sarebbe l’eroe romantico? Forse è il caso di conoscerlo un po’ meglio per riflettere su quello che oggi definiamo come romantico.
Ogni secolo porta con sé alcuni o tanti cambiamenti, si sa. È sempre stato così nella storia e nel mondo, è sempre stato così anche nella letteratura perché è lei quella che ci interessa e che, per me, rappresenta lo specchio dell’animo umano. Così, nel diciottesimo secolo, in Europa, l’onore di essere venerato e considerato come uomo ideale apparteneva al filosofo. Il filosofo del Settecento s’impegnava per il progresso sociale, in mente gli venivano delle idee straordinarie che pure oggi sarebbero considerate come geniali, possedeva la forza dello spirito e il coraggio e – oltre tutto – sapeva benissimo amoreggiare, sedurre, conquistare i cuori femminili. L’Ottocento, però, dà l’addio a questa figura pungente e ardente e lascia spazio al suo quasi opposto, l’eroe romantico, portatore del cuore spezzato, della tristezza e della melanconia.
L’eroe romantico è colui che ha perso tutte le speranze, colui che non nutre più alcuna illusione, ma solo disperazioni. Il suo sogno di una vita migliore è totalmente distrutto, ridotto in polvere. Ed è importante sapere che quest’uomo non vive soltanto nelle pagine dei romanzi o nei versi né si tratta di una figura immaginaria. Gli eroi romantici esistevano per davvero, pativano per davvero, s’identificavano con gli eroi letterari, molto spesso creati da loro stessi. Questo eroe tende a isolarsi, cerca la consolazione nella natura, sceglie l’esilio – se non sempre quello vero, allora almeno quello mentale, interiore. Custodendo nel proprio cuore le mal du siècle, l’eroe romantico ha saputo immortalare il suo dolore intimo scrivendolo nelle proprie opere. Allontanandosi dalla terribile realtà e dalla propria infelicità, egli s’impegna a cangiare i propri sentimenti, a dimenticare. L’eroe romantico s’interroga, rimugina, pena e soffre, però comprende che rimarrà perennemente afflitto dalla realtà e nella realtà. Per questo trova il conforto nella natura che s’incarna nella madre, consolatrice, amica. È proprio quella natura che incontriamo nelle opere di Alphonse de Lamartine, uno dei più virtuosi poeti ed eroi romantici. Capito soltanto dalla natura, è a lei che questo poeta dà la parola e le si confida. La natura diventa il riparo perfetto e la fonte delle fantasticherie delle quali ogni eroe romantico era inebriato. A volte la rêveriediventa così viva e il sogno così palpabile che alcuni eroi-poeti romantici si ritarano nei loro mondi onirici, così come lo faceva Gérard de Nerval. Lì l’eroe romantico medita sulla propria sensibilità che riesce a esprimere e a trasmettere agli altri tramite il miglior mezzo posseduto: il lirismo.
Succede anche che l’eroe romantico cominci a cercare il rimedio per il suo dolore nella religione. Tuttavia, il suo dio non è sempre quello cristiano. Certi eroi avevano i propri culti e divinità. Alcuni cercavano la pace nel deismo, altri nel panteismo, oppure nell’illuminismo, nell’animismo, mentre quelli davvero addolorati e posseduti dai sentimenti più oscuri, cercavano la salvezza nel satanismo.
Oltre al fatto che non era compreso nel suo ambiente, l’eroe romantico aveva una percezione del tempo diversa, tutta sua. Il tempo, per lui, non poteva essere un’epoca, un periodo, ma soltanto scorrere, fuggire. Il suo presente era la sua pena. L’unica felicità poteva essere soltanto ricordata, perché apparteneva al passato, alla felice infanzia o a un amore appagato. Perciò l’eroe coltiva il culto del passato, il culto del ricordo, si perde in alcuni tempi troppo lontani, per lui più luminosi di tutti gli altri momenti vissuti. A volte, ma solo a volte, un barlume di luce s’intravede nel futuro, ma questa speranza svanisce subito perché l’eroe si rende conto della crudeltà nella quale vive e conclude che l’unica via d’uscita corrisponde alla morte che diventa il sinonimo per l’avvenire.
Dunque, l’eroe romantico è troppo desolato e addolorato, ma anche contradditorio. Nonostante tutto, egli ama il suo dolore senza rimedio perché la sua maledizione gli offre un dono meraviglioso – i sentimenti. I frutti del suo male.
Vista la condizione dell’eroe romantico e la sua sofferenza a vita, egli può davvero essere considerato un eroe, un uomo che ha convissuto per tutta la vita con l’avversario interiore. Adesso, viaggiando con l’eroe romantico verso il passato, mi è venuto in mente un ricordo di una ventina d’anni fa. Mi ricordo che un professore delle medie (per niente romantico) aveva un modo simpatico (anche se poco pedagogico) di chiamare i ragazzini ogni volta che si accorgeva che questi ultimi non si comportavano bene nei confronti di noi, ragazze. Sarebbe difficile spiegare in italiano il gioco di parole che faceva in serbo, ma ci proverò. La parola “eroe” si dice “junak”, al plurale “junaci”. Se eliminiamo la “a” dell’ultima parola, otteniamo “junci”, il che significa “bovi”, usato con tono dispregiativo. Dunque, voleva dire, facendo pure rima nella mia madrelingua: Alla fine, siete tutti junaci (eroi), se tolgo la “a”. Semplificato in italiano, siete tutti bovi. Tutto questo per dire che non voglio credere che voi, cari innamorati, siate dei bovi. Perciò non comprate i cuoricini di qua e di là, ma fate qualcosa con il vostro cuore. Ovviamente, non deve essere ai livelli di Lamartine, ma se ci mettete anche meno di lui, ma a modo proprio, sarete degli eroi. Quelli veri.