Una prospettiva storica per i manager

Ci sono titoli che attirano l’attenzione per la loro bizzarria voluta: sono pensati per creare curiosità al lettore che gira tra gli scaffali di una libreria o che scartabella sul web alla ricerca di una buona lettura. Caporetto management. Dalla disfatta alla vittoria: la lezione di Armando Diaz per i manager moderni (Lupi editore) di Antonio Iannamorelli rientra, a un primo sguardo, a questa categoria, salvo ricredersi quando il lettore inizia a sfogliare effettivamente il testo: si tratta di una riflessione che parte da una prospettiva storica per trasformarsi in un’utile lezione sui manager contemporanei. Nessuna operazione furbetta, niente specchietto per le allodole. Tutto documentato e ragionato, restando fedelissimi al titolo.

Il lavoro dell’autore è infatti concentrato proprio su questo punto concettuale, il management in un momento difficile, e condensato in un preciso (quanto complesso e forse poco conosciuto) periodo storico, ossia quello che va dalla rotta di Caporetto alla fine della Grande Guerra.

Un passaggio della prefazione, scritta da Giuliano Frosini, rende bene l’idea di cosa si trovi in Caporetto management. “Mi ha colpito il commento che fa l’assistente di Cadorna, dal cui diario Antonio attinge molte informazioni: “Diaz? Ma non è un nome!”. Ecco, meno un manager è “un nome”, più gli è facile governare situazioni che appaiono disperate. Perché può contare su un ambiente circostante più tranquillo. E penso che le pagine che seguono spiegano bene come Armando Diaz ci abbia consegnato una lezione importante nel tradurre il suo profilo basso anche in capacità di avere buone relazioni con le istituzioni e gli stakeholders”. Fosse un manuale di inglese, saremmo alla lesson number one: la smania di protagonista è un limite.

Ma non solo. Iannamorelli, nel corso delle pagine, mette in evidenza un aspetto interessante: Diaz si è trovato a gestire una “crisi” (e che crisi), come oggi capita a un manager (facendo le dovute proporzioni tra i casi, ovviamente). La forza del libro non risiede nell’intuizione, già coraggiosa di per sé, ma nella ricostruzione storica degli eventi: l’opera di documentazione e di diffusione della conoscenza farebbe pensare a un testo scritto da uno storico di professione. Ma non è così: l’autore è un manager, uno che nella vita si trova ad affrontare le crisi di cui sopra.

“Troppo spesso si pensa che ciò che si studia nell’Accademia rappresenti una teoria che poi non trova riscontri nella pratica. Beh, non è così”, scrive Iannamorelli nelle conclusioni. “La sfida di questo mio lavoro – osserva ancora l’autore – è stata anche quella di dimostrare, attraverso un’azione di reverse engeneering della storia della comunicazione, che i concetti fondamentali su cui i ricercatori si cimentano con studi, trovano una concreta applicazione ed una efficacia a livello empirico, addirittura a cento anni di distanza”. Insomma, un’operazione culturale, totale, che in Italia non ha molti metri di paragone.

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